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Shrek: molto più di un film di animazione

Ciuchino: -Qual è il tuo problema Shrek? Ma perché ce l’hai col mondo intero, eh?
Shrek: -Senti non sono io che ho un problema, capito? E’ il mondo che sembra avere un problema con me. Le persone mi guardano in faccia e fanno: “Ah! Aiuto! Scappate! Un grosso, stupido, orrendo orco!” Uff… mi giudicano ancor prima di conoscermi.

“Shrek” non ha certo bisogno di presentazioni: il famoso orco verde è stato, infatti, protagonista di svariati film, sebbene il primo capitolo della saga (come spesso accade) sia senza ombra di dubbio il più riuscito. La storia, che vede tra gli interpreti Mike Myers, Cameron Diaz e Eddie Murphy, è incentrata su Shrek (Mike Myers), scorbutico orco, amante della solitudine, che si vede sottrarre improvvisamente la sua amata palude a causa delle disposizioni del crudele Lord Farquaad, il quale ha cacciato tutte le creature delle favole, costringendole quindi a trasferirsi nel territorio abitato dall’orco. Allora Shrek, insieme ad un asino parlante di nome Ciuchino (Eddie Murphy), decide di incontrare Lord Farquaad, con il quale fa un patto: salverà per lui la principessa Fiona (Cameron Diaz), che egli intende sposare e che si trova rinchiusa in una torre protetta da un drago, e in cambio potrà riavere la sua amata palude e con essa la sua vita solitaria. Tuttavia, proprio in questo film, niente è come sembra e le cose prenderanno una piega inaspettata, ribaltando gli schemi della classica favola intrisa di perfezione, per puntare piuttosto su risvolti tanto innovativi quanto geniali. Infatti, dietro la facciata che Shrek si è costruito, si cela un animo buono e generoso, ma solo chi sarà in grado di andare oltre la sgradevole apparenza se ne renderà conto. Il messaggio che ne deriva, inutile sottolinearlo, è straordinario: in un mondo abituato da sempre all’idea di perfezione (soprattutto sentimentale), trasmessa ai bambini sin da piccoli attraverso favole e cartoni che riprendono personaggi bellissimi, principi e principesse senza difetti che alla fine si sposano e hanno figli perfetti, sovvertire (anche solo per la durata di un film) questi schemi ormai obsoleti non è solo una trovata originale, quanto piuttosto necessaria. Crescendo, infatti, ci si rende conto che a questo mondo non c’è spazio per la perfezione, che questa non è che un’invenzione dell’uomo utile a sopportare meglio il peso di una realtà che, invece, “Shrek” decide di mostrare, enfatizzandola e ridandole la dignità che merita. Sebbene, infatti, “andare oltre le apparenze” viene sempre raccomandato, così come spesso sentiamo ripetere di “non giudicare il libro dalla copertina”, non è un caso che, nella classica favola, i brutti sono anche cattivi, mentre la bellezza fisica tende a coincidere con la giustizia e la bontà. Può sembrare banale affermare che “la bellezza è negli occhi di chi guarda”, ma quando è un cartone animato a lanciare questo tipo di messaggio (un cartone, tra l’altro, non troppo recente, la cui data di uscita risale al 2001), allora tutto diventa meno scontato e vale la pena sottolinearne la straordinarietà. Infatti, potremmo definire “Shrek” (e i suoi numerosi sequels) un’ “antifiaba” a tutti gli effetti, dove l’orco è quasi l’unico personaggio positivo in uno scenario dominato dal “vissero felici, belli e contenti”, e in cui tutti si fermano solo a quello che viene percepito dagli occhi, perchè nelle favole, di solito, non si va molto oltre. Gli standard a cui veniamo abituati sin da piccoli, infatti, a lungo andare si trasformano in una prigione che ci impedisce di essere liberi nelle nostre scelte e di trovare la felicità, poichè spesso ci si sente condizionati da ciò che agli altri potrebbe non piacere o che potrebbero non accettare, dimenticandoci che, in fin dei conti, siamo tutti nella stessa situazione e che una vita senza difetti è solo una chimera. Senza dubbio, “Shrek” porta agli estremi ciò che si propone di comunicare, ma è proprio questo che lo rende efficace e piacevole anche agli occhi dei più piccoli, i quali hanno più che mai bisogno di comprendere che l’amore prescinde dall’aspetto fisico e i buoni sentimenti non sono in disaccordo con la bruttezza esteriore e con l’imperfezione. Inoltre, soprattutto nei primi due capitoli della saga animata, si possono notare molti particolari geniali nell’ironia di cui si colorano e nessun personaggio fallisce nella sua missione di ribaltamento delle convenzioni “fiabesche” (cosa che risulta evidente soprattutto in “Shrek II”). Dunque, il film è una metafora di ciò che vuole rappresentare: bisogna, infatti, oltrepassare la facciata del film d’animazione “per bambini” per coglierne davvero tutti i significati. Del resto, molte battute presenti nella pellicola non potrebbero essere comprese da un bambino, e anche questo dimostra che essa è destinata davvero a tutti, essendo capace di adattarsi a qualunque spettatore. Infine, anche la colonna sonora contribuisce a creare un’atmosfera davvero particolare, è non è un caso che il brano intitolato “Hallelujah”, originariamente scritto e interpretato da Leonard Cohen, sia poi divenuto celebre come “la canzone di Shrek”, nella successiva versione di Rufus Wainwright, scelta appunto per il film. Dunque, la geniale originalità di cui gode “Shrek” è qualcosa che spinge sicuramente ad alcune riflessioni davvero importanti, e lo fa “indorando la pillola”, rendendola appetibile anche per i bambini e aiutandoli a capire che vivere “felici e contenti” è più importante di vivere “perfetti e contenti” e che, soprattutto, la bellezza non alberga nella perfezione ma nell’imperfetta felicità che i nostri occhi non potranno mai vedere.

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