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L’ebbrezza del potere

Recentemente, ha suscitato molto scalpore la notizia di attività illecite svolte da alcuni carabinieri della caserma Levante a Piacenza. I colpevoli, in base a quanto riportato dai media, sono risultati coinvolti soprattutto nello spaccio di droghe e nello sfruttamento della prostituzione. Infatti, i carabinieri arrestati pagavano con la droga giovani ragazze, in cambio di favori sessuali, approfittando dunque della loro dipendenza. Inutile dirlo, non è certo questo il tipo di comportamento che ci si aspetterebbe da coloro i quali dovrebbero invece contribuire a debellare queste azioni e soprattutto a salvaguardare i più deboli. Tuttavia, ahimè, non è la prima volta che le forze dell’ordine passano dall’altra parte, infrangendo la legge e assumendo il ruolo di carnefici. Infatti, un’altra vicenda emersa da poco, vede protagonista un giovane di 23 anni, il quale ha affermato di essere stato vittima di un pestaggio da parte di un poliziotto in borghese per le strade di Roma, in seguito ad una breve discussione. Ma basti anche solo pensare al celebre caso di Stefano Cucchi, per rendersi conto che non sempre quando si ha il potere, lo si usa per fare del bene. Bisognerebbe, piuttosto, chiedersi se quest’ultimo ,associato ad alcune professioni ,sia una conseguenza oppure un preciso obbiettivo e se ,quindi, la scelta di un determinato lavoro non sia casuale, bensì strettamente correlata alla possibilità di sopraffare rimanendo impuniti. A questo proposito, sono diverse le posizioni che consentono di esercitare un certo controllo sugli altri (spesso proprio i più deboli), e che, quando ricoperte da individui con poca stabilità emotiva, possono causare danno alla società. Nello spettro di tali occupazioni, rientra anche l’insegnamento e, considerando che in questo caso ad essere coinvolti possono essere anche bambini e adolescenti (molto più fragili emotivamente), la gravità della situazione risulta ancora più evidente. Troppo spesso, infatti, maestri e professori abusano del potere che sentono di esercitare sugli alunni, annichilendoli e creando un clima irrespirabile, fatto di terrore e incomprensione reciproca, il che può danneggiare gravemente la crescita di un bambino o di un ragazzo, abituato a passare a scuola la maggior parte del suo tempo. Quante volte si sente parlare di bambini picchiati dalle loro maestre? E se queste venissero sommate alle volte in cui questi fatti non emergono, si avrebbe un quadro molto nitido di quanto le degenerazioni del potere siano sempre dietro l’angolo. Purtroppo, è ormai evidente come le responsabilità che si hanno, facendo un certo tipo di mestiere, si trasformino in un’illusione di onnipotenza, dietro cui ci si nasconde per giustificare delle violenze gratuite, che non portano a nulla di costruttivo. Anche la famiglia non è esente dai rischi legati all’autorità di genitori che, molte volte, approfittano del loro ruolo per trasformarsi in dittatori (anche con l’ausilio delle percosse), sovrastando i sentimenti dei figli per imporgli una visione troppo rigida della realtà, che troppo frequentemente, invece, sfugge da ogni schema. Probabilmente, alla base di queste degenerazioni, sussiste una sopita sensazione di subalternità, che porta alcune persone a cercare una rivalsa attraverso la completa sottomissione di chi, pur volendo, non potrebbe mai ribellarsi. Spesso, appunto, si utilizzano la divisa, il distintivo, oppure la possibilità di mettere dei voti come strumenti di controllo, esagerando per poter appagare delle manie di grandezza, che crescono invece sempre di più, fino a far compiere delle azioni che sono molto lontane dalla moralità. Bisognerebbe, invece, avere la forza di comprendere che utilizzare le proprie facoltà a fin di bene non le priva della loro importanza, così come porsi concretamente dalla parte dei più deboli non mina l’autorità personale, al contrario, la enfatizza. Mi è capitato, più volte di quante mi piacerebbe ammettere, di essere stata vittima di chi invece avrebbe dovuto tutelarmi, soprattutto in ambiente scolastico e formativo, e questo ha, naturalmente, avuto un certo impatto sull’evoluzione del mio carattere. Per citare “Spiderman”, “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, ma questo può confondere molte persone e portar loro a credere di trovarsi al di sopra dei concetti di giusto e sbagliato, cosa che sfocia sempre in comportamenti che finiscono solo con l’essere vigliacchi dato che ,nella maggioranza dei casi, danneggiano solo chi parte già svantaggiato. Riprendendo la vicenda di Stefano Cucchi, è facile pensare che ci siano stati e ci saranno criminali che hanno fatto cose peggiori, ma nessuno di loro ha subito la fine che è stata invece riservata al giovane Stefano, quasi come se spettasse loro un certo rispetto per aver avuto il “coraggio” di fare di peggio. È così tremendamente facile rifarsi su chi non ha alcuna possibilità di tutelarsi, visto che si “vince” senza neppure battersi, mentre è quasi impossibile, per chi si sente onnipotente, confrontarsi con chi meriterebbe davvero un approccio più “severo”, poichè, generalmente, questo tipo di persone stentano a riconoscere e a rispettare qualsiasi tipo di autorità, costringendo quindi chi la possiede a sentirsi impotente. Dunque, è più comodo pestare un ragazzino, piuttosto che assumersi i compiti più ardui nella lotta al crimine, così come è più facile abbassare i voti e arrabbiarsi con tutta la classe, invece che affrontare quei due studenti che non hanno alcuna voglia di impegnarsi. Quali che siano i complessi meccanismi psicologici che danno vita ad alcuni comportamenti, bisognerebbe quanto meno saperli riconoscere e bloccare prima che possano nuocere, perchè il potere può ingannare: ci si lascia trasportare in alto dalla momentanea ebbrezza che regala, ma tutto poi svanisce e, cadendo, si atterra sulla dura realtà di una vita in cui, a volte, non abbiamo alcun controllo.

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