
Lo sciacallo: quando la tragedia fa audience
“Come dico sempre: se mi vedi è il giorno peggiore della tua vita”
Lo sciacallo (2014) è un film scritto e diretto dal regista Dan Gilroy, e interpretato da Jake Gyllenhaal, Rene Russo, Bill Paxton e Ann Cusack. La pellicola è incentrata sul personaggio di Lou Bloom (Jake Gyllenhaal), il quale passa dall’essere uno squallido ladruncolo al guadagnare riprendendo scene drammatiche e cruente, recandosi presso luoghi in cui sono avvenute delle tragedie, per poi vendere il materiale alle reti televisive. Quando Nina (Rene Russo), la quale lavora per un importante network, si mostra particolarmente interessata alle riprese di Lou, essendo anche disposta a pagare bene per averle, questi svelerà i suoi tratti da sociopatico, operando senza il più minimo accenno di sensibilità e rispetto per le persone coinvolte nei drammatici eventi dai quali dipendono il suo guadagno e il suo successo. Il film, senza dubbio, presenta una sceneggiatura molto valida, che si svela in tutta la sua straordinaria coerenza nel momento in cui lo spettatore si trova combattuto tra il voler vedere Bloom punito per il suo terrificante cinismo, e il desiderare, senza nemmeno accorgersene, che questi riesca a portare a termine un’ennesima e dettagliata ripresa da poter rivendere a un prezzo esorbitante. Alla base della trama, del resto, è facile scorgere un’aspra critica allo “sciacallaggio”, appunto, spesso operato dai media sui fatti di cronaca nera che, purtroppo, non sono certo rari, laddove odio e violenza non sembrano essere in via di estinzione. Bisognerebbe riflettere, a questo proposito, sulle modalità con cui il dolore degli altri si può trasformare facilmente in una forma di intrattenimento di massa, diventando automaticamente fonte di guadagno per le reti televisive. Di recente si è tornati a parlare, ad esempio, del caso di Denise Pipitone, la bambina scomparsa a Mazara del Vallo nel 2004, poichè una ragazza russa, che aveva manifestato una certa somiglianza con Denise e con sua madre, oltre ad avere la stessa età che la bambina avrebbe avuto oggi, nel contesto di un noto programma televisivo locale aveva affermato di essere stata rapita quando era piccola. La televisione non è certo rimasta indifferente di fronte al caso, al punto che il programma russo al quale aveva partecipato la ragazza aveva dato un ultimatum alla mamma di Denise: accettare di prendere parte alla trasmissione, dove pubblicamente sarebbe stato comunicato il risultato del test del DNA effettuato dalla donna, oppure non ottenere mai quel responso. La storia, in ogni caso, non ha avuto il lieto fine in cui si sperava, poichè la ragazza non è Denise Pipitone, ma quanto avvenuto ha bruscamente portato l’attenzione sul labile confine esistente tra informazione e speculazione, cordoglio e intrattenimento. Basti anche pensare a quanto gli odierni colossi dello streaming investano nella realizzazione di documentari su fatti di cronaca nera divenuti celebri e che hanno per protagonisti spietati assassini e serial killers, per capire che, laddove c’è un’offerta, senza dubbio c’è anche una domanda. Quanto detto non fa che riconfermare la tesi per cui la natura umana, in fondo, sarebbe malvagia, e anche il più puro degli animi può mostrare interesse nei confronti di una tragedia che ha colpito qualcun altro, non perchè alla base vi siano motivazioni oltremodo crudeli, ma anche solo alla luce del desiderio personale di farsi una propria opinione a riguardo. É quindi un dato di fatto: omicidi, incidenti, rapimenti, incendi e sparatorie possono essere anche una fonte di guadagno. Tuttavia, l’altra faccia della medaglia costituita dai network televisivi e dalla tv è sicuramente molto più positiva, in quanto non bisogna dimenticarsi dell’importanza di poter raggiungere un pubblico vastissimo, laddove ci sia bisogno della collaborazione di tutti per aiutare chi ne ha bisogno: del resto, senza la televisione e senza, ahimè, lo scopo di lucro indissolubilmente connesso alla ricerca di notizie, se la ragazza russa del caso Denise si fosse rivelata essere la bambina perduta, nessuno lo avrebbe mai saputo. In conclusione, appare evidente come il personaggio creato da Dan Gilroy e magistralmente interpretato da Jake Gyllenhaal non sia che l’estremizzazione di uno dei tratti più brutali della nostra natura, ovvero il morboso desiderio di sapere e di arrivare a vedere con i nostri occhi quando qualcosa di orrendo o cruento colpisce degli estranei, un ritratto della freddezza che siamo capaci di mostrare di fronte alla sofferenza altrui. “E per tutti il dolore degli altri è dolore a metà”, cantava Fabrizio De Andrè: l’altra metà, molto spesso, è pura, semplice e umana curiosità.

Retorica Natalizia

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