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Il sogno: Il grande Gatsby e Carlito’s way

Mostratemi un eroe e vi scriverò una tragedia

F. Scott Fitzgerald

Il grande Gatsby è un celebre romanzo di Francis Scott Fitzgerald, scritto e ambientato nella caotica e spietata New York degli anni 20. Carlito’s Way (1993) è invece un film di Brian De Palma, che vede protagonisti Al Pacino, Sean Penn, Penelope Ann Miller e Viggo Mortensen. A ben vedere, tuttavia, entrambi sono accomunati da un elemento centrale, sul quale si regge l’intero svolgimento della trama e che funge da propulsore alle azioni dei personaggi protagonisti: il sogno. Per capire come questa sia una tematica portante di queste due vicende, è tuttavia necessario addentrarvisi e ripercorrerne alcuni punti. Partendo dal romanzo di Fitzgerald, in esso Jay Gatsby, ambizioso giovane, riesce a ribaltare la propria condizione economica e sociale (ricorrendo anche a mezzi non del tutto leciti), per riconquistare l’amore di Daisy, che nel frattempo, nei 5 anni in cui era stata lontana da Gatsby, aveva sposato il ricco Tom Buchanan. Tuttavia, le speranze del giovane protagonista si riveleranno vane, portando ad un tragico quanto inevitabile epilogo. Ma cinque sono anche gli anni trascorsi in carcere da Carlito Brigante, protagonista della pellicola di De Palma, il quale una volta ottenuta la libertà, culla il sogno di una vita migliore, lontana dalla New York del 1975, crudele quanto quella dipinta da Fitzgerald circa settant’anni prima dell’uscita del film. Carlito, infatti, è un ex spacciatore, che dopo aver guadagnato il denaro necessario, aspira a trasferirsi ai Caraibi. Parte del suo sogno di riscatto è anche una donna, Gail, già amata in passato dal protagonista e per la quale ritroverà quest’amore, ricambiato. Anche qui, l’esito finale si tingerà di amara disillusione. Certo, Gail non è come l’opportunista e fredda Daisy, e potremmo quindi sostenere che, nel film di De Palma, Carlito non sia l’unico a sognare un futuro più roseo, dato che riesce a trascinare anche la donna in un vortice di aspirazioni e speranze condivise. Forse però egli, come Gatsby, rappresenta il buono costretto ad adattarsi ad una società di cattivi, ma, fondamentalmente inadatto a quella realtà, ne esce sconfitto tragicamente. Gatsby e Carlito sono entrambi eroi, caduti nel loro tentativo di realizzare il sogno: “il sogno non diventerà realtà da solo, dobbiamo corrergli dietro, adesso” dirà proprio Carlito, non sapendo, ma forse vagamente sospettando che quella corsa era destinata ad arrestarsi poco prima del traguardo. Sembra scaturire da queste due storie di finzione, pensate a circa settant’anni di distanza, un sostanziale pessimismo verso un ambiente inadatto ai sognatori, che diventano quindi degli illusi. Essi sono disposti anche a compromettere la propria integrità morale, pur di toccare qualcosa che forse neanche esiste veramente: per Gatsby, era l’idea di una futura vita con Daisy, per Carlito, quella di una ritrovata serenità al di fuori della malavita, serenità che avrebbe voluto condividere con Gail. Ma la speranza può proseguire anche oltre la morte: quella di Gatsby si protrarrà nella convinzione che ad aver telefonato, pochi istanti prima della fine, fosse stata Daisy; in Carlito, essa assumerà la forma, su un cartellone pubblicitario, della donna amata e del loro bambino, entrambi approdati sull’isola paradisiaca tanto desiderata. Da un lato, quindi, queste due vicende sembrano dirci che i sognatori non hanno futuro e che il passato, quello che ritroviamo nelle parole finali de Il grande Gatsby, torna sempre per inghiottirli. Dall’altro, tuttavia, laddove il sognatore muore, il sogno resta invece immortale.

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