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Catwoman, un film che merita una seconda chance (e una seconda visione)

Paese di produzione: Stati Uniti d’America

Anno: 2004

Durata: 100 minuti

Genere: fantastico, azione

Regia: Pitof

Interpreti: Halle Berry, Sharon Stone, Benjamin Bratt, Lambert Wilson

Accettalo cara, hai trascorso tutta la vita in gabbia, accettando ciò che sei, tutto quello che sei, potrai essere libera e la libertà è potere

Catwoman è un film del 2004 diretto dal regista francese Pitof e interpretato da Halle Berry e Sharon Stone. Si tratta di una pellicola che si focalizza interamente sulla celebre “donna gatto” della DC Comics, ma non presenta alcun legame con Gotham City né col supereroe Batman. La storia, infatti, ripercorre la vicenda di Patience Phillips (Halle Berry), remissiva e introversa impiegata presso un’azienda di cosmetici, la quale, avendo ascoltato involontariamente una conversazione sui tremendi effetti collaterali legati all’utilizzo di una crema che sta per essere lanciata dall’azienda, viene uccisa da due guardie al servizio di quest’ultima. Tuttavia, Patience riceve in dono una seconda vita da parte di una gatta dai poteri sovrannaturali di nome Midnight, e con essa la possibilità di vendicarsi e regolare i conti con la fredda e spietata Laurel Hedare (Sharon Stone), la quale si trova a capo della truffaldina azienda di cosmetici. Il film, al momento dell’uscita, non fu accolto positivamente, e vinse perfino svariati Razzie Award (I famosi premi antitetici agli Oscar, attribuiti alle peggiori pellicole e performance attoriali). Attualmente, però, Catwoman è invece considerato da molti un cult, che nonostante le numerose critiche negative alle quali è ancora soggetto, è riuscito a guadagnare rilievo nell’ambito della cultura cinematografica. Le motivazioni dietro questo fenomeno possono essere molteplici e volendo tentarne un’analisi, è opportuno partire dalla figura della protagonista. Patience, infatti, viene subito presentata come una donna priva di carattere, timorosa e accondiscendente, che non è ancora riuscita a realizzarsi come artista e si accontenta perciò di un lavoro modesto, subendo anche le prepotenze del suo capo, George Hedare (marito di Laurel, interpretato da Lambert Wilson). In seguito al “dono” ricevuto da Midnight, però, le cose cambiano, e Patience si ricongiunge con quel lato ribelle e deciso che, nel film sembra sottinteso dalla frequente presenza del gatto anche prima della “trasformazione”, era solo sepolto dentro di lei. A questo punto, quindi, la vita della ragazza cambia e, sebbene si dimostri talvolta incline a infrangere la legge e le regole, diventa anche improvvisamente indomita e senza paura. La vecchia sé stessa, però, continua a fare capolino, spingendola spesso a scusarsi (soprattutto col detective Lone, interpretato da Benjamin Bratt, col quale inizia anche una relazione) e ad agire per il meglio, finendo col punire i cattivi e ripristinando la giustizia (come sempre accade quando si tratta di supereroi). Il film, al di là della trama che ha fatto storcere il naso soprattutto ai fan più accaniti della DC Comics, lancia messaggi importanti che sono inizialmente passati inosservati, come la possibilità di riprendere in mano la propria vita quando questa è ostaggio degli altri, riconnettendosi con il proprio lato indipendente e assertivo e liberandosi così dal giogo del giudizio altrui. Al contempo, però, la pellicola tratta anche la tematica dell’accettazione di sé stessi e del naturale invecchiamento fisico che non è possibile combattere. Un altro aspetto da menzionare si lega soprattutto al recente e dibattuto fenomeno del “politically correct”, che ha spesso portato allo stravolgimento di caratteristiche prevalentemente fisiche di alcuni personaggi riproposti sullo schermo nel tentativo, spesso ridondante e maldestro, di includere tutte le etnie e identità sessuali. Catwoman, infatti, è stato interpretato da un’attrice nera in un periodo storico durante il quale il politically correct non era ancora il fenomeno culturale che conosciamo oggi, pertanto, la pellicola non risulta “politicamente corretta”, ma propone un’ interprete perfettamente adatta al ruolo e senza alcun tipo di forzatura. In più, nel film vediamo una protagonista che agisce da sola, libera dall’ “ingombrante” presenza di Batman o di altri coprotagonisti maschili, e rappresenta per questo, oltre che un inno alla forza e all’indipendenza femminili, anche un valido esempio di supereroina che, soprattutto vent’anni fa, vantava pochi precedenti. In Catwoman, quindi, guardando oltre il look “sensuale” fatto di pelle e frustino, anche una bambina a cui non interessino particolarmente le principesse può trovare un personaggio combattivo e dotato di abilità sovrannaturali col quale identificarsi e che non condivida la scena con un eroe maschile. Se si pensa, inoltre, che la “villain”, ovvero l’antagonista della storia è anch’essa una donna, possiamo asserire senza troppi dubbi di trovarci di fronte a un film in cui è l’elemento femminile a predominare, laddove i personaggi maschili proposti sono, a ben vedere, relegati sullo sfondo, lasciando ampio spazio al carisma di due attrici capaci di imporsi sullo schermo senza troppi sforzi. Certo, Catwoman non è sicuramente un film “da Oscar”, e rivederlo oggi significa anche notarne irrimediabilmente i difetti, come la CGI di scarsa qualità e alcune performance poco convincenti. Nonostante questo, però, si tratta di una pellicola che, se fosse stata realizzata oggi, alla luce di quanto detto avrebbe, presumibilmente, ricevuto un’accoglienza ben diversa. In conclusione, è importante sottolineare come la sensibilità sia radicalmente cambiata nel corso degli anni ed è quindi possibile che un’opera cinematografica che in un primo momento era stata inserita tra le peggiori mai realizzate, possa oggi trovare un qualche tipo di riscatto, in quanto figlia di un periodo che, probabilmente, non era ancora culturalmente pronto per comprendere ciò che essa voleva (non senza qualche impaccio) comunicare.

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