
Discriminazioni
Il giorno 25 maggio 2020, com’è tristemente noto a tutti, è avvenuto a Minneapolis (Minnesota) l’omicidio dell’afroamericano George Floyd da parte di un agente di polizia che avrebbe semplicemente dovuto arrestarlo. Il video dell’accaduto ha rapidamente fatto il giro del mondo e la vicenda ha dato il via a una vera e propria rivoluzione, che ha visto milioni di persone (ovunque nel mondo) scendere in piazza per protestare, recitando lo slogan “black lives matter” (letteralmente “le vite nere hanno importanza”). In particolare, negli Stati Uniti ,si sono verificati anche fatti conditi da estrema (e, direi, ingiustificata) violenza, attraverso la distruzione di locali, incendi e devastazioni di ogni sorta, che hanno coinvolto, paradossalmente, anche afroamericani titolari di attività rase al suolo in nome della protesta. Sebbene, quindi, l’ennesimo abuso di potere ai danni di una persona di colore sia stata la cosiddetta “goccia che ha fatto traboccare il vaso”, aprendo un nuovo capitolo nella storia dell’umanità, l’evento possiede soprattutto un grande valore ideologico e ha portato, ancora una volta, a tirare in ballo e ad interrogarsi su una questione tanto attuale quanto difficile da esaurire completamente a parole: quella legata alle discriminazioni. Nelle ultime settimane, tale tematica sembra essersi imposta all’attenzione pubblica, dato che essa può essere collegata anche ad un’altra questione che è recentemente emersa e che riguarda alcune presunte dichiarazioni della scrittrice J.K.Rowling. Infatti, la nota autrice della saga di “Harry Potter” avrebbe in qualche modo lasciato intendere, attraverso alcuni “tweets”, di non considerare le donne transessuali come delle donne a tutti gli effetti. I fatti sono alquanto controversi e, in ogni caso,mettere alla gogna qualcuno per le sue (tra l’altro presunte) idee discriminatorie non è certo tanto lontano dal discriminarlo in prima persona, soprattutto quando tali idee, se espresse nel rispetto dell’altro, non si allontanano molto dalla realtà dei fatti. A questo proposito, si può facilmente intuire che la parola “discriminazione” non si limita semplicemente ad indicare un atteggiamento di rifiuto delle divergenze razziali o sessuali (come molti sembrano ingenuamente credere), ma abbraccia anche la deliberata esclusione di chiunque venga sentito come “diverso” da un gruppo di individui che si ritengono reciprocamente affini, allargando così di molto il campo delle situazioni nelle quali si è soliti discriminare. In particolar modo, bisogna partire dal presupposto (e accettarlo) che ognuno di noi tende a operare delle discriminazioni, ma tale tendenza viene esasperata soprattutto dai più giovani. Infatti, il triste fenomeno del bullismo affonda le sue radici proprio nell’emarginazione di alcuni soggetti per così dire “deboli” che ,magari ,semplicemente mancano delle capacità sociali utili a farsi accettare dal “gruppo” e ,perciò, sono da questo derisi e allontanati. Ma gli atti di discriminazione non sono nemmeno sempre così lampanti come vogliono sembrare e sanno essere tanto silenziosi da passare inosservati anche agli occhi di chi li compie. Infatti, tornando ai movimenti di protesta legati all’ingiustificato omicidio di George Floyd, è utile ripetere che in molti ne hanno preso parte e ,perciò, proprio a questo proposito verrebbe da chiedersi in che misura l’adesione ai cortei (soprattutto in paesi diversi dagli USA, tra i quali rientra anche l’Italia) sia stata davvero sincera e determinata da un ideale e quanto, invece, sia stata dettata dalla volontà di seguire la moda del momento, senza sentire davvero il problema (ancora assurdamente attuale) delle disparità razziali. La domanda sorge spontanea in quanto troppo spesso si crede che partecipare ai “Gay pride” e a manifestazioni affini possa bastare ad annullare qualsiasi altro tipo di discriminazione si faccia quotidianamente (a scuola, a lavoro o in altri ambienti), in più ,se a ciò si aggiunge che, spesso, dietro la partecipazione a questi cortei si nasconde nient’altro che il desiderio di mostrarsi “alternativi” (ma si è solo finti tali) agli occhi degli altri, ecco che il proposito alla base di ogni rivendicazione si perde in una nube di vane apparenze. Infatti, sebbene le discriminazioni investano tutti i campi e siano molteplici, nel momento in cui ci si dichiara apertamente contro una di esse, in realtà, ci si dichiara contro ogni tipo di discriminazione esistente, ed è, dunque, assolutamente ipocrita (oltre che dannoso per la causa) gridare “black lives matter” per le strade se, poi, ci rifiutiamo di avere a che fare col nostro compagno di classe che non va mai in discoteca, non fuma e non beve (facendolo quindi soffrire), oppure se nemmeno ascoltiamo quello che ha da dire il nostro collega semplicemente perchè viene dal sud Italia. Allo stesso modo, è assolutamente incoerente puntare il dito contro una scrittrice (che non ha mai insultato nessuno) perchè ora è di moda se ,poi ,siamo indifferenti di fronte alla solitudine di qualcuno che conosciamo da vicino o abbiamo paura di farci vedere insieme al coetaneo o collega “sfigatello” per non essere a nostra volta discriminati. Nessuno è perfetto e tutti prima o poi ci troviamo ad essere ingiustamente cattivi nei confronti del nostro prossimo, ma non limitando i nostri atteggiamenti discriminatori (evitando di prenderne atto) e unendoci alle proteste a favore dei più deboli per sfruttarle e risultare più “interessanti”, è quanto di più inutile e sbagliato si possa fare. Con ciò, non voglio certo dire che sia inutile manifestare, ma quando si sceglie di farlo è importante interrogarsi prima sulle motivazioni profonde che ci spingono a tale scelta e, se attirare l’attenzione su noi stessi è più importante che attirarla sulla causa, allora, forse, dovremmo rinunciare. Dunque, i tempi di eccezionale violenza e incertezza che stiamo vivendo dovrebbero spingerci a pensare a cosa possiamo concretamente fare a favore di chi si sente emarginato e debole in una società che da sempre tende a sopraffare il “diverso” (sia esso l’afroamericano, l’omosessuale, il disabile, il compagno di classe senza amici o il collega del sud), in primo luogo, prendendo coscienza del fatto che la diversità ha molte sfaccettature e andare davvero avanti equivale a riconoscere e accettare ognuna di esse: tutto il resto non è che immobilità travestita da progresso.

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