
La giusta misura
L’11 maggio, come ormai noto a tutti, è atterrata a Roma Silvia Romano, giovane volontaria partita per il Kenya nel 2018 e rapita da un gruppo di terroristi somali, che l’hanno tenuta prigioniera per circa 18 mesi, per poi rilasciarla previo (probabile) pagamento di riscatto da parte dell’Italia. La questione ha sin da subito destato molto scalpore e l’attenzione mediatica riservata all’evento è stata (ed è tuttora) piuttosto notevole, il che appare del tutto plausibile, vista l’effettiva importanza della cosa. Inoltre, il rientro della ragazza è avvenuto proprio nel giorno in cui si celebra la festa della mamma, caricandosi così di ulteriore eccezionalità, avendo permesso ad una madre di poter finalmente riabbracciare la figlia, fatto non del tutto scontato, viste le circostanze. Tuttavia, sebbene si tratti all’apparenza di un evento per il quale non si potrebbe che gioire, cela al suo interno delle dinamiche che, seppur insufficienti a cancellare la contentezza, danno sicuramente da riflettere. Riflessione che, se operata in maniera lucida e coerente, non può che essere costruttiva. Una delle prime cose sulle quali si sta tentando di fare chiarezza è infatti proprio l’efficienza della ONG alla quale Silvia si era affidata e alla quale aveva anche ingenuamente consegnato tutte le speranze di una giovane laureata animata da grande intraprendenza e solidarietà, ma anche, ahimè, da quell’incoscienza che a 23 anni è del tutto fisiologica e sicuramente non da condannare. Ciò che andrebbe condannato, invece, sono le probabili mancanze da parte di un’associazione (la ONG di Fano sulla quale la ragazza aveva fatto affidamento) che sembra essersi resa protagonista di un grosso raggiro che stava per sfociare in vera e propria tragedia. Ma del tragico, purtroppo, si può comunque scorgere in una vicenda alquanto controversa, che ha subito attirato a sè tutto quello sconclusionato odio che solo l’essere umano è in grado di provare. E così Silvia Romano è ora vittima di minacce di ogni genere, di una violenza verbale che rischia di diventare anche fisica, ma perchè? Se solo ci si soffermasse un minuto di più sulla questione, ci si renderebbe immediatamente conto che, se c’è da provare indignazione, questa è stata subito rivolta nella direzione sbagliata. In primo luogo, oltre le già citate leggerezze della ONG in questione, sarebbero anche da additare gli stessi rapitori, i quali, sebbene dalle parole di Silvia non siano sembrati così temibili, non hanno assolutamente alcun tipo di scrupolo e un rispetto per la vita umana pari a 0. Il che rende ovvio, più che plausibile, il fatto che la ragazza sia scesa dall’aereo, pochi giorni fa, indossando l’abito islamico e dichiarando immediatamente la sua conversione. In particolare, è stato quest’ultimo dettaglio a scatenare l’ira di chi ha visto nella suddetta dichiarazione nient’altro che un tradimento della patria, la stessa patria alla quale la ragazza deve, presumibilmente, la sua salvezza. E sta proprio qui il più grande errore che si possa fare, attaccare spietatamente la pedina occasionale di un complesso sistema di potere che ruota intorno al denaro, le cui dinamiche sono e rimarranno sconosciute. Tuttavia, per quanto meschino e fondamentalmente sbagliato sia prendersela direttamente con Silvia Romano, non bisogna perdere di vista la “questione riscatto”, altro punto sul quale si è parecchio dibattuto in questi giorni. Sebbene infatti non bisogni guardare ai fatti lasciandosi accecare dall’odio, al tempo stesso si devono comunque fare delle considerazioni che, nonostante possano perfino sembrare ciniche, sono necessarie al fine di impedire il ripetersi di eventi simili. Mi riferisco soprattutto alla spinosa domanda: è stato giusto, oppure no, pagare un probabile riscatto milionario “solo” per riavere una nostra concittadina, finanziando in questo modo l’acquisto di armi da parte dei terroristi? Purtroppo si sa, i soldi ottenuti facendo del male, non potranno che essere spesi per farne ancora. E così, finchè questa spietata quanto concreta e reale catena non verrà interrotta, finchè, ahimè, si continuerà a cedere ai ricatti di chi sa di poterla avere vinta, mentre gioiremo per una vita salvata, dovremo anche piangere per tutte le vite che verranno spezzate. “Est modus in rebus”, “esiste una misura in tutto” affermava l’autore latino Orazio, il che potrebbe qui tradursi nell’importanza di evitare ogni estremismo. Perciò, viene da chiedersi che cosa si può davvero fare per non trovarsi più a dover scendere a patti col male, e la risposta, anche se dura da accettare, è soltanto una: dire di no. Una, due, dieci, cento volte. Adottare la stessa soluzione degli Stati Uniti, i quali non prevedono il pagamento di alcun riscatto per i cittadini rapiti all’estero. E questo, automaticamente, implica che nessun americano verrà più sequestrato. Sicuramente saranno stati necessari dei sacrifici, ma ci si è arrivati. Dunque, magari, la cosa più saggia da fare sarebbe quella di prevedere un documento da far firmare per i volontari, i quali, presa visione degli eventuali rischi cui vanno incontro, esonerano il paese di provenienza da qualsiasi responsabilità nei loro confronti. Per quanto utopistica, una soluzione di questo tipo sembrerebbe sensata, e a lungo andare (ovviamente, non senza quelli che saranno degli iniziali sacrifici) potrebbe portare a dei risultati. Infine, c’è un’altra cosa da prendere in considerazione, e non riguarda certo i soldi. Perchè nessuna somma di denaro potrà mai riportare indietro la Silvia Romano (cosa che vale per chiunque altro si sia trovato nella sua situazione) che era partita, 18 mesi fa, giovane e ignara di ciò che sarebbe accaduto. Nessun riscatto potrà mai ridarle questa stessa spensieratezza, così come nessuna cifra sarà mai sufficiente a cancellare quei mesi di prigionia che adesso hanno preso la forma di una tipica veste musulmana e parlano attraverso la bocca di Silvia, dichiarando con fierezza la conversione ad un’altra religione. Ma soprattutto, niente potrà far sparire queste giornate di odio figlio dell’ignoranza, troppo impegnato a scagliarsi contro la superficie, per poter scavare più a fondo, quello stesso odio senza scrupoli che, a prescindere dal nostro paese di provenienza, ci dimostra ancora una volta che, dopo tutto, non siamo poi così diversi.

Chiara Ferragni - Unposted

Parasite
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2 commenti
Stefania
Mi piace parecchio quello che hai scritto, le tue parole sono l’esempio della “giusta misura”.
Luciana
Grazie mille!!